L’addio dello chef Alessandro Maniaci che lascia Fattoria Borrello

by Valeria Zingale

Alessandro Maniaci lascia Fattoria Borrello e in un post social racconta il turbine di emozioni che lo hanno “investito” in questi 4 anni in cui è stato al timone della cucina dell’osteria del suino nero di proprietà dell’allevatore e imprenditore nebroideo Franco Borrello e dei figli Annalaura e Giuseppe.

“Giorni interminabili di lavoro, di successi, tra cadute, sorrisi e cura reciproca, adrenalina e disperazione, sfinimento e gioia” – scrive Maniaci nel lungo post – ma anche di importanti riconoscimenti per la trattoria sita a Raccuja nella folta vegetazione del Parco dei Nebrodi, dove i suini neri sono liberi di pascolare tra castagni, noccioli e ulivi, nutrendosi di ghiande, castagne e prodotti del sottobosco.

Forbes Italia ha inserito la Trattoria Borrello tra le 100 eccellenze del Bel Paese. Tra i più importanti riconoscimenti c’è l’inserimento dell’osteria nebroidea tra le migliori trattorie di Top 50 Italy curata da Luciano Pignataro, Barbara Guerra e Albert Sapere, nella Guida del Gambero Rosso, nelle Guide dell’Espresso, in Osterie d’Italia 2024  di Slow Food. E ancora la fattoria Borrello aveva conquistato il premio Best in Sicily 2021 del giornale online Cronache di gusto.

LE PAROLE DI ALESSANDRO MANIACI

Lascio la mia cucina, che ho visto prendere forma sotto i miei occhi e i miei fuochi dove ho cucinato i miei sogni con tutta la forza e la fame e la rabbia e l’amore che avevo in corpo. Si l’amore, l’amore per la cucina, che mi ha salvato in tutti quei giorni in cui mi svegliavo e sentivo di non avere un posto nel mondo e mi rifugiavo in quelle quattro mura, l’unico luogo che mi dava conforto. E poi un giorno i miei sogni si sono incontrati con i Loro e poi ci siamo svegliati insieme e non erano più sogni. Abbiamo costruito una realtà, che in questa parte di Sicilia non esisteva, l’abbiamo fatto lavorando come i pazzi, non dormendo, cucinando di notte, stringendoci gli uni agli altri quando non ce la facevamo più. Tutti sono venuti a vederci e la mano che prima tremava, ora non trema più. Sono entrato ragazzino e me ne vado uomo. Sono entrato che non ero nemmeno un cuoco e me ne vado non provando più vergogna quando mi chiamano chef, consapevole del fatto che la mia ossessione alcuni giorni ha preso le sembianze del talento. Adesso per me è giunto il momento di fermarmi un po’, per 8 anni ho corso senza freni, ed è ora che mi prenda cura di me stesso come uomo e non solo come cuoco, per immaginare come sarò, come sarà. Per me è stato un onore appartenere a questa Famiglia, so che loro continueranno a spaccare, è l’unico modo che conoscono. Ancora oggi, a volte, di notte, penso a tutti i piatti che abbiamo sbagliato, ma alcuni, lo so, erano sublimi”.

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